Sunday, October 23, 2011

Gesù con la donna curva (Lc. 13, 10-17) Omilia al Gerini 24/10/2011




Probabilmente non mi avete aspettato a fare l’omilia.  Si, se anche sono i miei compagni, sono i miei fratelli maggiori nel sacerdozio per cui non ho potuto disobbedire quando mi hanno dato questo compito di fare l’omilia.  Devo dire che sono davvero contento di essere qui tra di voi dove ho passato ultimi quattro anni della mia vita. Anzi essere in questa cappella se è anche cambiato un po’ la struttura questa parte rimane lo stesso, dove con le solite difficolta dell’inizio sia con la lingua, la cultura, la diversità ecc. ho passato il mio tempo lottando con il Signore. Quindi a tornare a tutto questo è davvero molto emozionante.  Voi non mi mancate molto come ci vediamo molto spesso all’università. Forse mi manca un po’ il quarto piano a fare un po’ di frittate di uova. 

Nel vangelo di oggi abbiamo la scena della guarigione della donna curva realizzata da Gesù nel giorno di sabato.  Sono tante le riflessioni che si possono fare, partendo da questo brano. Ma, io vorrei soffermarmi  su due punti. Uno dalla prima parte del vangelo e l’altro dalla seconda parte.  

 Nella prima parte quello che mi colpisce è proprio l’atteggiamento di Gesù nei riguardi di questa donna. Proviamo pensare un attimino come era la situazione delle donne nella società di allora. Ogni ebreo cominciava la sua giornata ringraziando Dio per non averlo fatto né pagano, né schiavo o donna.  Il vangelo ci dice chiaramente che la donna era curva e non poteva drizzarsi in nessun modo. La Bibbia di Gerusalemme che seguo dice nella nota che era fisicamente impossibile per lei alzare la testa. Quindi, certamente, questa donna non ha cercato di vedere Gesù perché era impossibile e non lo ha visto neanche.  Era proprio nascosta dentro la folla.

Ma, dice il versetto 12, Gesù la vede. Molti altri l’hanno e l’avevano vista.  Molti certamente la conoscevano, ma allo sguardo di Gesù segue la parola e l’azione. Il suo è un vedere diverso, uno sguardo che non resta indifferente di fronte alla miseria, né si ferma alla compassione o ad una parola di semplice conforto o incoraggiamento, ma è il vedere che motiva l’incontro, la relazione e l’agire.  In poche parole Gesù si è lasciato toccare dalla sofferenza dell’altro.  Abbiamo tanti altri brani dove si vede un Gesù che si commuove di fronte alla sofferenza dell’uomo.  La domanda che vorrei fare a me e a tutti voi e questa “che tipo di prete mi sto preparando ad essere un domani?  Uno che sa patire con la sofferenza dell’altro o uno indifferente a tutto quello che accade accanto a me?” Come dice Bonhoeffer con il suo solito linguaggio provocante: “Il fratello è un peso per il cristiano, soprattutto per il cristiano.  Per il pagano l’altro non diventa nemmeno un peso, egli evita di lasciarsi toccare da qualcuno, mentre il cristiano deve portare il peso del fratello”. Se questo è vero per un semplice cristiano, possiamo aggiungere che la vita di un prete deve essere marcata da questo “lasciarsi toccare” molto spesso.  E ci ricorda molto bene Pastore dabo vobis, “Il presbitero infatti è ripresentazione sacramentale di Gesù Cristo capo e pastore”, e la formazione per ogni consacrato deve essere un tempo di conformazione costante al cuore e ai sentimenti di Cristo. 

Il secondo punto è dalla seconda parte del Vangelo, dove si vede la reazione del capo della sinagoga; un uomo che, secondo me, non ha capito niente della dinamica di Gesù.  Uno che si trova nella stessa situazione della donna incurvata, storto nel suo modo di valutare e di giudicare, curvo nel suo cuore con la sua rigidità liturgica,  tiepido nei suoi sentimenti verso gli altri.  Gesù dichiara chiaramente la sua posizione “Voglio l'amore e non il sacrificio”.  La legge è al servizio dell'amore.  Gesù con la sua azione profetica di guarigione, proprio nel giorno di sabato, dichiara apertamente che la Legge è stata data da Dio perché l'uomo impari ad essere più uomo!  Evidentemente le prescrizioni della Legge hanno la loro importanza, ma le persone sono più importanti di esse. Certo, questo non significa che per ogni stravaganza possiamo sentirci autorizzati a disattendere le norme. Esse vanno osservate, purché sia osservato il primato della carità che è cammino di liberazione delle persone, mai soffocamento, né di negligenza, circa le loro esigenze vitali.

            Se avete un po’ di tempo, sarebbe interessante a fare una ricerca su quante volte vediamo Gesù nel tempio o nella Sinagoga compiere una funzione liturgica. Sono pochissime volte che lo vediamo in questi ambiti. Tutto l’altro tempo egli era in mezzo alla gente semplice, parlando, mangiando e condividendo la sua vita con loro. Questo non vuol dire che le celebrazione liturgiche non siano importanti. Ma, certamente, una religione che è staccata dall’umanità sarà sicuramente lontana  dal Vangelo di misericordia  predicato da Gesù. 

            Vorrei concludere con un brano di una poesia di Rabindranath Tagore, vincitore del premio Nobel per la letteratura nel 1913. Dalla Poesia Gitanjali

Smettila di cantare i tuoi inni, di recitare le tue orazioni!
Chi adori in quest’angolo buio, e solitario d’un tempio
Le cui porte sono tutte chiuse? Apri i tuoi occhi e guarda:
Non è qui il tuo Dio.
È là dove l’aratore ara la dura terra,
dove lo spaccapietre lavora alla strada.
È con loro nel sole e nella pioggia
La sua veste è coperta di polvere.
Levati il manto sacro e scendi con lui nella polvere.

Sia lodato Gesù Cristo, sempre sia lodato!

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