Saturday, June 18, 2011

“DOCIBILITAS” O DOCILITAS




Oggi si parla tanto della formazione permanente. Ma bisogna chiederci se veramente abbiamo capito bene nel suo pieno significato la parola formazione permanente. Molto spesso, con il termine “formazione permanente” si intente una seria dei corsi di aggiornamento che uno fa proprio con l’intenzione di fare un “up-dating” o un aggiornamento. Invece la formazione permanente non è da intendere come una cosa automatica che avviene appena quando uno ha fatto un corso o addirittura una seria dei corsi. Per formazione permanente s’intende come la parola stessa lo suggerisce, è una formazione che dura tutta la vita di una persona: dalla culla fino alla tomba. È qui che diventa importante la parola docibilitas che letteralmente andrebbe tradotta come “insegnabilità” ovvero come disponibilità o libertà del soggetto a lasciarsi istruire, educare o formare-trasformare dalla vita, dagli altri, da ogni situazione esistenziale, come “un imparare a imparare la VITA dalla VITA per tutta la VITA”. Ecco perché è importante dire che la docibilitas non è solo docilitas, perché è quell'intelligenza dello spirito che implica alcuni fattori precisi oltre all’accoglienza «docile», obbediente e un po' passiva, e cioè: è un pieno coinvolgimento attivo e responsabile della persona, prima protagonista del processo educativo e dunque attenta ad ogni evento quale può diventare una mediazione, potenzialmente (e misteriosamente) formativa, nelle mani di Dio, il Formatore, l’unico Padre e maestro di vita. Non solo, è una libertà interiore e desiderio intelligente dell’individuo di lasciarsi «istruire» da qualsiasi frammento di verità e bellezza attorno a sé, nelle cose e nelle persone, pur frammisto al suo contrario che l’oscura, godendo di ciò che è vero e bello, e accogliendolo in sé. E infine, la docibilitas è una capacità di relazione con l’alterità, d’interazione feconda, attiva e passiva, con la realtà oggettiva, altra e diversa rispetto all'io, fino a lasciarsene formare.

Con questi atteggiamenti una persona inizia ad «imparare a imparare», ovvero a vivere in perenne stato di formazione per tutta l’esistenza e di fronte a tutta la ricchezza dell’esistenza, nei suoi momenti positivi e meno positivi.  Visto in questa prospettiva ogni evento, anche quel che sembra negativo, qualsiasi realtà, anche quelle inedite e impreviste, e ciascuna relazione interpersonale, non solo quelle con le persone perfette e sante, possono divenire strumento provvidenziale attraverso il quale il Padre forma nel discepolo i sentimenti del Figlio e questi si lascia formare da lui e dalle sue mediazioni.

Ecco, la formazione permanente è esattamente questo processo umano-divino che ha luogo in un cuore docibìlis, o è il soggetto che di fatto si lascia provocare e plasmare dall'esistenza di tutti i giorni, non semplicemente nelle occasioni particolari e attraverso interventi eccezionali, ma attraverso quelli che si potrebbero chiamare gli «strumenti (o agenti) quotidiani» della formazione permanente stessa, dalle mediazioni più umili e ordinarie a quelle più intrinsecamente ed esplicitamente formative: il rapporto con Dio e coi fratelli, la Parola-del-giorno e le parole d’ogni giorno, la parrocchia e l’ambiente di lavoro, la comunità e la gente qualsiasi, gli eventi e perfino gli incidenti, i superiori e la gente umile, i segni dei tempi e il carisma dell’Istituto, il quotidiano più ordinario e pure gli imprevisti e la lista può continuare senza limiti.


Infine, possiamo dire che la persona docibilis è colui che è libera di continuare ad imparare per tutta la vita e da ogni persona e circostanza, capace di tener duro nelle decisioni anche complesse per confermare la scelta fatta un tempo, intelligente quanto basta per interpretare le difficoltà e crisi come momenti provvidenziali di crescita, desideroso di camminare verso la novità che la vita propone ogni giorno, a ogni età, in qualsiasi situazione, con qualsiasi persona.


 Cfr. A. CENCINI, L’Ora di Dio, La Crisi nella Vita Credente, Bologna, EDB, 2010. 


La bella solitudine!!





Mentre parlavo una volta con un mio amico prete, lui mi diceva “una delle cose che sempre cerco di evitare nella mia vita è la solitudine”. Un po’ incuriosito dal suo commento gli ho chiesto, “ma come fai ad evitare la solitudine?” lui mi ha diceva, “ogni qual volta che mi sento da solo mi metto subito a comunicare con qualcuno tramite qualche sito del social network”. Anche se avrei voluto rispondergli subito ho evitato di dire qualcosa aspettando di conoscerlo abbastanza bene per un po’ di tempo. 


Ma possiamo chiederci, la solitudine è davvero qualcosa da evitare con tutti i mezzi possibili? Sappiamo bene che è un mostro della vita umana, e in particolare della vicenda esistenziale di chi ha scelto di appartenere a Dio. 
Eppure è normale, lo è per ogni uomo, e soprattutto per chi Dio ha scelto come suo consacrato. Il quale deve vivere, sì, nella società e coltivare le relazioni, ma deve anche cercare e trovare quella compagna preziosa di tante ore, che li accompagnerà lungo tutta la sua vita, che si chiama la Solitudine
. Proprio per questo l’esperienza della solitudine, dirà Cencini, non può mancare nel cammino della formazione.

Ma perché è da favorire una formazione alla solitudine? Che c’è di bello nella solitudine? Certo, non solo per farci in qualche modo l’abitudine, visto che non avrà una donna accanto e figli intorno, né affetti umani intensi e immediati come quelli nati dalla carne e dal sangue, ma perché la solitudine forma. Anzi, educa, ancor prima, poiché nella solitudine viene fuori quel che uno ha in cuore, come si può vedere accadere nella storia della salvezza: è nel deserto che Israele ha conosciuto se stesso, coi suoi idoli, e ha fatto esperienza di Dio, del suo Dio, il quale, come dice Osea, conduce il suo popolo nel deserto proprio per parlare al suo cuore (cf. Os 2,16). Infatti, non c’è una vera amicizia con Dio che non passi attraverso un deserto. Non si può conoscere il cuore dell’Eterno se non si accetta d’esser soli con lui, in particolare non si può sperimentare come Dio possa davvero riempire il cuore dell’uomo se costui non accetta di correre il rischio di restare solo o di toccare il fondo di quel vuoto: Dio abita lì. Come dire: la solitudine non esiste, perché in fondo a essa si scopre Dio. Ma prima di arrivare a questa bella scoperta bisogna avere il coraggio di sperimentarla per cogliervi la presenza dell’Amante eterno. In tal senso la solitudine non solo educa, ma forma il cuore, lo rende dimora di Dio, e assieme lo purifica perché sia cuore amante alla maniera di Dio, affinché altri si sentano meno soli, proprio grazie a quest’affetto manifestato in un cuore di carne.



Cfr. A. CENCINI, L’Ora di Dio, La Crisi nella Vita Credente, Bologna, EDB, 2010.