Thursday, November 24, 2011

Cosa sono i voti?






Una bellissima riflessione sui voti scritto da Ernesto Menichelli, monaco eremita della comunità di Camaldoli (Arezzo).


Riflessione sui Voti
di Ernesto Menichelli
Camaldoli, 28 VII. 1983

Cara..., inizio oggi la mia riflessione sui voti, come mi hai chiesto. Lo faccio molto di cuore perché la tua richiesta mi è sembrata un invito a cercare un modo in me di partecipazione al passo che stai per compiere nel tuo cammino amore a Cristo. Per questo sento che la mia riflessione sarà più lunga nel tempo. Voglio anche dirti che insieme alla mia riflessione (che sarà un tutt'uno con la mia preghiera), offrirò anche la mia giornata, il mio lavoro e tutto ciò che mi accadrà perché la tua scelta non sia in te che la scelta dell'amore; la scelta di dare compimento alla tua vita solo attraverso un amore radicale. E' una convinzione che in questo periodo sento più di ogni altra: tutto in no? é al servizio di un amore, perché amare è l'unico senso della vita e l'amore è l'unica verità che possa condurre a compimento e maturazione la nostra vita. Sento l'assoluta inutilità delle cose più belle (come l'ascesi, il cammino monastico, la stessa preghiera), se esse non sviluppano in me la capacità di amare, nella forma più semplice e concreta. Anche i voti sono mezzi a questo fine.


Io in questa mia non vorrei ricercare e trovare tanto i termini di una esatta dottrina circa il tema dei voti, quanto piuttosto i termini di una gioiosa celebrazione: a noi interessa poco (o quasi) avere su ciò delle idee teoriche esatte; quanto Invece siamo interessati a CELEBRARE cioè a trasformare in lode questa dimensione di vita. La povertà, la castità, e l’obbedienza costituiscono un modo di porsi nella vita per dire a Dio con assoluta totalità che non abbiamo altro amore all'infuori di Lui. Amare con amore esclusivo Lui sopra ogni cosa è il precetto più antico e l'esigenza ogni giorno' nuova; farlo attraverso i voti vuol dire scegliere la radicalità evangelica come cammino pratico.

Penso poi che la prima cosa da chiarire sia il CENTRO di interesse su cui converge tutta la finalità, lo scopo, il dinamismo dei voti: a che pro una radicalità così assoluta di povertà, castità e obbedienza? E la risposta è Cristo? I voti sono una spogliazione, un auto-esproprio = SPOGLIARCI PER RIVESTIRCI. Paolo quattro volte almeno fa menzione della necessità di RIVESTIRSI.  Rivestirsi di Cristo: Rom 13,14; Gal 3,27 ; “Rivestirsi dell’uomo nuovo: Col 3,10; Ef 4, 24. Per rivestirsi di Cristo, occorre spogliarsi dell'uomo vecchio, cioè di se stessi. Il cristiano non cerca l’annientamento di sé. ma la sua maturazione è il suo compimento nella TRASFIGURAZIONE. I voti sono la DURA STRADA attraverso la quale si passa dal mondo della carne al mondo dello spirito, dal mondo dell'uomo vecchio (il mio io di créta) a quello dell'uomo nuovo (l'io spirituale di Cristo).  Solo tenendo sempre presente Cristo come ragione unica e ultima del nostro cammino possiamo mantenere vivo 'Timore del cammino di spogliazione sui tre voti. Se ogni giorno diciamo no a certe dimensioni umane della nostra vita che ci provocano ad una realizzazione umana della nostra persona, è solo perché viviamo un si con assoluta priorità: il si nell'amore alla persona di Gesù. E se Gesù è stato insediato dal Padre nella SIGNORIA è perché ha vissuto l'obbedienza della sua triplice spogliazione (Fil 2,5-11): spogliato di quanto gli competeva come Figlio di Dio (l'uguaglianza con Dio), spogliato di quanto gli competeva come uomo ( la libertà e la dignità di uomo; invece si fa schiavo), spogliato di quanto gli competeva come morente (il rispetto che si deve a un morente; invece muore di una morte obbrobriosa in croce). Questa sua strada deve essere la nostra: "Abbiate gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù...": e avremo anche noi l'insediamento nella gloria.

C'è un'altra cosa che vorrei dirti prima che tu prenda i voti, uno per uno: in che successone sono tra di loro? Sono posti come tre gradini: in che ordine sono posti? Se dovessimo metterli in fila dovremmo dire: povertà, castità, obbedienza: ma non è una successione di valore, nel senso che la povertà è la più importante e l'obbedienza viene per ultima. E' piuttosto una successione che descrive il cammino ascensionale dell'uomo verso Dio: prima c'è il distacco dalle cose (la povertà è la rinuncia alle cose come assicurazione per il presente e per il futuro); poi viene la castità, cioè la scelta di verginità, rinuncia alla realizzazione carnale (i figli sono il proprio futuro; questa dimensione viene offerta a Dio e viene scelto direttamente il Regno di Dio); infine l'obbedienza è il RISCHIO ULTIMO, è l'amore alla volontà di Dio nella povertà del quotidiano, è la rinuncia alla propria volontà come rinuncia a progetti personali. L'obbedienza è l'ultimo passo, perché è il passo più difficile, il più incomprensibile; in esso sembra che si operi un vero annientamento di sé, perché nella quotidianità (guidata dalla volontà di chi nella comunità è segno dell'unità e interprete del volere di Dio) spesso sembrano naufragare le idealità personali che giudichiamo nobili e grandi). Se su questa strada non avessimo già avuto un prototipo - cioè Cristo - sarebbe del tutto inaccettabile e assurda una proposta del genere. 

SULLA POVERTÀ':         

Cosa vuol dire essere povero? Può sembrare facile definire la povertà, in realtà essere povero, incamminarsi sul sentiero di una povertà autentica è cosa molto difficile. Infatti... ho conosciuto religiosi che hanno fatto il voto di povertà, ma se ne vanno in giro con il blocchetto di assegni in tasca... c'è chi ha lasciato tutto e poi pian piano si apre in segreto un libretto personale in banca...La povertà in una comunità religiosa è un enigma e un grosso problema: tutti ne parlano, ma trovarla veramente è impresa difficile. Eppure essa dovrebbe essere il primo passo, appena il primo: quello per cui si smette di contare sulle cose e per il puro necessario ci si affida ad una comunità di fratelli. Essa dovrebbe smantellare la prima roccaforte delle nostre false sicurezze cioè affidare il futuro alle cose. Il povero poggia tutto su Dio. D vero povero mi pare non sia tanto quello che ha meno cose degli ami, ma quello che la un futuro precario, non ha cioè delle garanzie precise per vivere. A me pare che se uno ha pochissimo ma con quel poco riesce a sbarcare il lunario e quel poco gli è assolutamente garantito per il futuro, questi non è un povero perché in fondo gli viene assicurato un minimo e per il futuro non conta su Dio ma su quel minimo che le cose gli procurano. Se questo è vero, temo per le nostre comunità religiose: anche la mia cella monastica è di troppo e se non sono ancora abbastanza povero è perché ho ancora troppa povertà interiore. Sono queste, carissima, le cose che mi mettono in animo una certa preoccupazione e che non mi fanno stare tranquillo neanche all'eremo..., ma pure una strada dove essere più veri dobbiamo ricercarla! Altrimenti cosa vuol dire sequela di Cristo povero? Egli ha avuto uno stile, un metodo molto preciso: nasce in una stalla... non sua, nella mangiatoia delle bestie (... non per rare scena, ma semplicemente perché Maria si è trovata li al momento del parto; a volte la nostra povertà fa scena: mi vengono in mente certi bleu-jeans studiatamente consumati, ma che hanno nelle tasche portafogli ben forniti!); i suoi primi amici furono poveri pastori (... ricordi i pastori dei Sibillini?); finisce in croce nudo; durante la vita dice: "non ho una pietra dove posare il capo!"... ma quando parla con il Padre suo scopre qual è la ricchezza che possiede: "tutto ciò che è tuo è mio e tutto ciò che è mio è tuo"; ecco di che si riempie la persona di Gesù, le ricchezze del Padre sono le sue ricchezze. E le ricchezze del Padre difficilmente possono stare insieme alle ricchezze del mondo: "Non si può servire a due padroni" (Le 16,13): la ricchezza delle cose è l'antitesi di Dio perché essa crea un regno, un dominio sull'uomo antitetico di Dio. L'ambiguità fondamentale della ricchezza consiste nella sua tendenza a trasformarsi in padrone nel cuore dell'uomo, e lo sottrae al Regno di Dio. Ecco perché Gesù nelle beatitudini pone la povertà al primo posto: essa è l'inizio della sapienza perché è all'inizio della libertà interiore. Ma c'è un'altra considerazione da fare: la povertà è una scelta di servizio verso il fratello. L'impegno dalla parte del fratello povero sta fra i criteri decisivi in ordine alla nostra salvezza (Mt 25, 34-40): il giudizio di Dio sull'uomo di fede avrà come parametro l'atteggiamento verso il povero. Una comunità cristiana religiosa può permettersi di lasciarsi disprezzare dai sapienti e dai potenti (1 Cor 1,19-21), ma assolutamente no dai poveri, da coloro che "non hanno nessuno" (Gv 5,7). Essere disprezzati dai poveri è una maledizione. Sono questi infatti i privilegiati di Cristo. Mia carissima, abbiamo urgente bisogno (e solo Dio può farci questo dono) di liberarci e per questo dobbiamo "farci forza" (ricordi la conclusione dell'incontro di Gesù con il giovane ricco? Le 18,22-25: Gesù dice: "come è difficile che un ricco"; ma la traduzione letterale di duscolos dovrebbe essere: "come debbono farsi forza per entrare nel regno — farsi violenza - quelli che sono ricchi"). E noi dobbiamo tutti e due farci forza perché non è affatto scontato che siamo poveri; tu sei in una comunità che vive esternamente una povertà radicale veramente grande... e questo potrebbe in te far nascere l'idea che non hai bisogno di fare sforzi personali, perché quanto la comunità è già abbastanza; io poi sono in una situazione ancora più pericolosa: alla mia comunità non manca niente. Ed io se non sto sveglio, ho grandi tentazioni per evadere: il cibo è buono e abbondante, di vestiario non manco... la mia povertà può diventare una posa, un fiore all'occhiello. Quando prenderai il voto di povertà, prega per la mia povertà perché ti sia, di mia scelta, compagno inseparabile su questa strada, senza lasciarmi condizionare troppo da quanto la comunità mi offre, perché sento che se mi fermo a quanto mi offre la mia comunità, non soddisfo l'esigenza che è in me. 


SULLA VERGINITÀ' :

Ricordi la lettera che circa due anni fa ti scrissi sulla verginità? Ebbene in due anni posso dire che ciò che scrivevo ha ancora più valore. Non voglio andare a rileggere quanto ti scrissi per non ripetermi. Ma voglio dirti le stesse cose con lo stato d'animo di oggi. Gesù, dopo aver parlato di questo tipo di scelta (in Mt 19,12), dice: "chi vuol intendere, intenda!". Quindi la scelta verginale non è di tutti e per tatti, e Gesù si riferisce alla capacità data ad alcuni di percepire il dono di Dio e di viverlo di conseguenza alla sequela di Gesù, che fu vergine. Allora il SEGNO che in noi c'è questa vocazione come dono, sta nella libertà interiore e nella gioia con cui questo dono è vissuto: la libertà e la gioia sono SEGNO della verginità; allora la mia verginità non è il mio sacrificio al Signore, il mio dono al Signore, ma è il dono che il Signore fa a me. La verginità non è la RINUNCIA ad una mia dimensione umana (l'amore umano); non rinuncio a qualcosa di mio, ma accolgo di vivere un dono: la verginità come accettazione a vivere l’ESSERE POSSEDUTI totalmente dall'ALTRO, il quale mi ama di un amore geloso, esclusivo e mi invita a vivere radicalmente, fin da oggi le ESIGENZE DEL REGNO. La coscienza di questo essere solo da Lui posseduti deve far nascere in noi una gioia, interiore, un'armonia e maturità esteriore che mostra come il vergine non sia un "uomo mancato" o una "donna mancata"; anzi la verginità deve condurre a maturità di umanità tanto ricca quanto l'umanità coniugata. La testimonianza nella chiesa di una verginità scaduta a livello di zitellaggio tetro e asmatico è quanto di più nocivo ci possa essere: essa testimonia un "regno dei cieli" frustrato. Lo zitellaggio è repellente perché è un fiore imputridito. A tutti coloro che non vivono la gioia, ma mostrano di portare un peso, io direi: "sposatevi, subito, tutti, domani stesso!". Dio ci ha fatti tutti per la gioia e se uno non è capace di scoprirla in questo dono di Dio, non vale la pena insistere. Noi invece spesso confondiamo la verginità con la temperanza, cioè con il controllo delle nostre potenzialità sessuali... ma è come confondere un dono con la carta che lo tiene impacchettato: il dono è un altro, il dono è l'esclusività in noi di UNO che ci possiede tutti ancora prima che l'opera sia compiuta: Dio ci possiede totalmente dopo la morte, quando, ritornati alla casa del Padre, saremo come "angeli di Dio" e non ci saranno più né mogli né mariti; questo possesso di Dio sui vergine invece si anticipa già da questa terra, quando ancora in noi l'immagine di Gesù è in via di formazione: Dio ha già investito tutto su noi, ha posto un'ipoteca su di noi ("questo non si vende perché è già impegnato per comprare il tesoro!"); Egli ha scommesso su di noi, ancor prima che noi fossimo arrivati a casa sua: questo mi fa piangere di GIOIA! Egli scommette su quanto ha deposto in me!... Io vorrei tanto dirgli: "ma perché continui a scommettere su di me? ...tu sprechi le tue ricchezze! Si può sapere che cosa trovi di tanto interessante su questa pelle piena di rogna?". Poi mi viene da pensare: è vero che Lui spreca molto, ma se io non avessi un Amante sprecone, sarei perduto!

Vivere la verginità è vivere la coscienza di questo dono... quindi fermarsi alla continenza, all'involucro del dono, alla scatola che lo custodisce è BANALE... Anzi ti posso dire di più: a volte succede che il grande dono è custodito dentro una scatola tutta storta, sbilenca, che fa acqua... cioè si può essere innamorati di Dio e del suo dono pur dentro una continenza difficoltosa perché a volte abbiamo a che fare con un corpo che... è troppo focoso. Il nostro corpo può essere una carriola che stride, un carrettino con le ruote quadrate, ma ciò non toglie che sopra trasporti un tesoro, il tesoro del Regno. Inoltre mi piace vedere la verginità come un passo ulteriore nel cammino di povertà. Umanamente parlando la verginità cristiana è una forma di povertà: il dono della povertà mi libera dal desiderio urgente di realizzare in me una continuità carnale, che dia consistenza al mio futuro di uomo: avere dei figli è costruire e possedere una speranza umana. Se mi attengo solo al piano della logica umana, evidentemente c'è maggiore ricchezza e possibilità di realizzazione di me nel matrimonio. Ma il discorso umano nella verginità è superato: cioè Cristo ha portato un ordine nuovo, che instaura una logica nuova, un modo nuovo di pensare ed è questo: la realizzazione dell'uomo è apparente se viene limitata dentro i confini del tempo e quindi della carne. Il superamento della realizzazione entro i limiti della carne (cioè accettare questa momentanea povertà) vuol dire puntare su una ricchezza che alla fine del cammino si rivelerà in tutta la sua preziosità: attraverso un'offerta appassionata a Cristo e al suo regno, viene superata l'apparente e momentanea povertà, fino a far si che ciò che sembrava povero diviene esperienza di concreta ricchezza ("chi perde la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà": Me 8,35). "La salverà" significa che già in questa vita sperimenterà il "CENTUPLO", il che vuol dire che anche umanamente parlando la verginità realizza una completezza di personalità unica. L'altro giorno un'anziana signora di Palermo, che ha trascorso alcuni giorni di preghiera all'eremo, mi ha detto: "ho notato che avete tutti una faccia serena, fresca; un volto di uomini maturi e giovanili allo stesso tempo... come fate? Avete una ricetta speciale?". Ho dato delle spiegazioni vaghe, ma dentro di me pensavo al dono che Dio ci ha fatto: il dono della verginità, pur vivendolo nella nostra quotidiana povertà.  

Ecco allora, voglio concludere con una affermazione un po' assurda: la verginità non ci fa rinunciare all'amore umano ma ci fa scegliere l'amore esclusivo di Dio, perché poi dentro di esso, purificati come nel fuoco, possiamo poi più tardi - a purificazione inoltrata - riscoprire un amore anche umano, che sia però del tutto libero dal possesso: un amore che ci permette di vivere la libertà e la gioia dei figli di Dio, per i quali la carne sia un discorso superato e l'amore un discorso maturato. Un po' strane queste parole! Tu lo sai che non sono strane: c'è una storia che testimonia che non sono strane. 

SULL'OBBEDIENZA:
Hai mai notato che di questa dimensione abbiamo parlato pochissimo? Ma è logico: c'è confusione in giro, perché è difficile parlare di obbedienza e capirla nel suo giusto senso, in un contesto socio­culturale di esaltazione della libertà individuale. Arturo Paoli dice: "l'obbedienza è certamente il contenuto essenziale della nostra relazione con Dio e con gli uomini... eppure il nostro è un tempo di disobbedienza!". Per la confusione che c'è in giro, si vivono profonde contraddizioni: ho conosciuto dei superiori che erano dei ducetti, ma, una volta scaduti dal mandato, gridavano che esiste solo l'obbedienza a Dio. Il problema in noi nasce quando l'attenzione si posa su coloro che operano la MEDIAZIONE tra Dio e l'uomo. La comunità ha bisogno di una persona che sia il segno dell'unità del cammino comunitario; una persona che sappia capire ciò che Dio vuole da essa e sappia capire come inserire il dono unico di ciascuno su questo cammino della comunità. Tutto ciò non è facile, ma non è neanche impossibile. Chi ha questo compito scoprirà e realizzerà i piani di Dio e i doni di ciascuno non dando disposizioni tecniche esterne, ma DIALOGANDO interiormente con Dio nella preghiera e con i fratelli nella comunione. Un dialogo che può essere fatto anche di pochissime parole, ma di molta attenzione. E chi è nei panni di colui che obbedisce deve fare altrettanto: il "figlio" della comunità ricerca il dialogo non per rivendicare uno spazio, ma per SCOPRIRE la sua verità e quindi il suo servizio di camminare dentro la comunità. Certi figli e figlie che divengono aspri e vivono un'obbedienza scontrosa, il più delle volte sono caduti in una dinamica rivendicativa: dialogano per chiedere e non per partecipare un dono. Per superare questo stato d'animo, dobbiamo in noi far crescere il senso di solidarietà con tutta la comunità (e quindi con chi è il segno dell'unità di essa, il superiore) e cercare di vedere come ciò che ci viene chiesto è per la realizzazione di un piano comune, che vuol rispondere al progetto di Dio sulla comunità.

Allora la nostra obbedienza diviene adesione a un mistero, ad una volontà che ogni giorno cerchiamo di scoprire ed amare. A volte può essere una volontà che ci chiede di trionfare e realizzarsi sulla momentanea morte della nostra volontà. Per questo a me sembra che l'obbedienza sia l'apice della povertà, il punto più alto del distacco da sé: con essa ci si libera dal desiderio di avere progetti propri, schemi autonomi. Essa è il RISCHIO ULTIMO: vivere un progetto comunitario che a volte ci impegna per lunghi periodi su cose quotidiane povere, esternamente insignificanti, quasi banali... ci sembra che tradisca certi nobili ideali che dentro di noi abbiamo lungamente accarezzato; eppure sentiamo che la nostra ricchezza si gioca, si investe e si accumula nel segreto di questo quotidiano "insulso". Giorni fa ho conosciuto una suora: 80 anni, con le mani rattrappite, cammina trascinando i piedi e quando parla intreccia le parole e non si capisce; ebbene la sua superiora mi ha detto: "ha fatto per 40 anni la cuoca lavorando nel silenzio; di notte fuggiva in chiesa e pregava per ore; è vissuta nel più assoluto silenzio... oggi per noi lei è come l'angelo della casa e quando la mia comunità si trova in difficoltà, io vado da lei e le dico: sorellina, prega per me perché oggi sono in difficoltà!; e lei allora si illumina tutta negli occhi". Mia cara... oggi, quando si parla di obbedienza preferiamo parlare di "personale realizzazione", ma forse ci scordiamo che tale realizzazione avviene attraverso l'amore; allora è la strada segreta dell'amore che dobbiamo scoprire... e la strada dell'amore è sempre su sentieri impensati. Mia carissima, solo a Dio dobbiamo obbedienza assoluta, Lui che è verità assoluta. Solo nella fedeltà a Lui raggiungeremo la nostra pienezza. Ma questa obbedienza si consuma nella ricerca quotidiana del suo volere: una ricerca fatta nel dialogo sincero, umile e affettuoso; di accoglienza generosa della povertà quotidiana. E là dove siamo chiamati a vivere situazioni precarie e povere, metterci tutto l'amore perché dinanzi a Dio tutto diventi prezioso. Ecco allora che l'obbedienza diventa l'ULTIMO RISCHIO e quindi il più difficile. Tutte queste cose le dico più per me; perché so che tu su certe cose sei più decisa di una ruspa! Tu sei la piccola ruspa del Signore che, quando abbassa la pala e va avanti, scava anche le montagne...

Terminando, voglio regalarti un giochetto... serio; un giochetto che ho scoperto per te: le tre dimensioni (povero, vergine, obbediente) in ebraico si dicono cosi: ANAH - ALMAH -SHAMAH: il valore complessivo delle consonanti è di 680 (mi spiego: in ebraico hanno valore solo le consonanti ed ogni consonante vale un numero preciso: la somma dei numeri delle 11 consonami è 680). Ora cos'è questo numero? 600 sono gli anni di Noè quando entrò nell'arca (Gen 7,6) e 80 sono le giovani spose del Cantico (Ct 6,8) che accompagnano la sposa principale. Allora 680 - le tre virtù - sono 0 segno di una maturità, di un tempo per un uomo maturo di anni per un cammino in cui possa "imbarcarsi" nell'arca dei salvati. Noè entrò nell'arca non da uomo in fasce, né da adolescente imberbe e un po' presuntuosetto, ma da uomo in là negli anni, maturo. Per noi può voler dire questo: si inizia un certo cammino, ci si imbarca nell'arca della salvezza per un impegno di particolare abbandono, quando la nostra maturità ha una sua stabilità, quando la nostra umanità ha raggiunto una completezza che può assumersi un impegno serio... per ARRIVARE DOVE? Ad essere le spose che accompagnano la SPOSA: nell'arca, che è la stessa sposa (chiesa) del Signore, noi siamo le "80 spose" che le fanno corona... e infatti Gesù nel Vangelo parla di "amici dello sposo" (Gv 3,29; Le 12,4ss); Egli parla di "vergini" che attendono per scortare lo sposo nella casa, appena arriva (Mt 25,1 ss). Ecco allora che i conti e le immagini ritornano ad una sola realtà: IL CRISTO E LA SUA SPOSA in cammino verso la casa del Padre (l'arca che ci attende) scortati, in rapporto gioioso e amicale, da 80 (800... 8000... 8mila miliardi...) vergini un po' pazzerelloni e pazzerellone, ma... tutto cuore!!... Ti piace questo giochetto? Spero che abbia capito che per me non è un giochetto, ma una cosa seria (arci - ultra - tutto in errimo).

In questi mesi di preparazione, se hai tempo, nella tua preghiera, leggi e rileggi il Canti dei Cantici; ti aiuterà a scoprire sempre di più l'amore. E leggilo insieme al Vangelo di Giovanni; specie i capitoli: 3,4, 6, 7, 8, 10 e tutta la passione dal cap. 13 al cap. 20.1 capitoli della passione vanno letti così: Egli è il vincitore e il Re della storia (Gv 18,33-37). Ora basta perché... ti ci vorrà un secolo a leggere tutte queste cianfrusaglie! Scusami se non sono stato più breve e più significativo. Termino ora, ore 10.55 dell' 8 agosto.     









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